Travestitismo e cross-dressing nell'opera lirica
L’opera è piacere della finzione. Una pulsione all’astrazione che conduce all’ideale del belcanto, della voce levigata lanciata in virtuosismi trascendentali, che smarrisce la sua grana e quasi la sua fonte corporea per ricercare nel suono la massima purezza. La sua volontà di disinnescare corpo e sesso, pur evocandoli costantemente, porta nell’opera barocca alla prassi delle voci femminili in corpo maschile e dei castrati. Il genere diventa oggetto di ribaltamenti, transiti e persino paradossi quando il personaggio maschile, se eroe, deve comunicarsi con voce femminile. Passando al comico d’un secolo dopo, specie in ambiente napoletano, vorticano travestimenti, scambi di genere, “mammi” e “femminielli”…
L’Ottocento, nell’ansia di un suo ideale di adesione alla realtà, fa sfumare parecchio le derive e i transiti di questa materia di sogno o divertimento.
Nel Novecento emerge il discorso del genere anche nell’opera, con la consapevolezza che qui si tratta del corpo e insieme del genere e dei suoi apparati simbolici. Così l’opera partecipa ad un discorso sull’identità che, al di là dai consueti confini binari, accede ad un approccio radicale della diversità.